ciao Maestro

“Se vieni a casa mia quando hai tempo ti insegno io mimma!”

E’ iniziata così, una delle storie più belle della mia vita. Con semplicità, come iniziano le cose davvero importanti nella vita.

“Tieni le spalle morbide, sennò stasera tu sei tutta un dolore. Respira, trova il tuo ritmo.”

Mi ha insegnato così a stare ore al telaio, reggo maratone di cucitura di libri che molti nuovi adepti se le sognano, perchè il telaio è la relazione più lunga della mia vita. 25 anni senza una crisi, solo momenti di allontanamento. Il mio grande amore.

Mi consola, mi entusiasma, ascolta i miei respiri irregolari e li placa, mi fa viaggiare con la fantasia e mi riporta a terra quando inizio a fantasticare troppo. Perchè magari mi buco un dito con l’ago, o si strappa il filo perchè perdo concentrazione.

Il telaio non perdona. Se ti sconcentri ti punisce. Come la vita.

L’artigiano lo sa che il lavoro è la metafora migliore per raccontare il senso della vita.

“La colla la devi provare sul supporto, diluire al punto giusto a seconda dei materiali, e se non ti soddisfa devi farla da te”.

Serate a bollire la farina, a girarla senza far venire i grumi, quell’odore di amido che si mischiava al sugo della nonna, lei che sbuffava perchè la regola era ‘nessuno accanto a me mentre cucino!’ e io puntualmente avevo da fare sempre qualcosa prima di cena ai fornelli.

Ho imparato il mio lavoro da qui, gli strumenti non li comprava su etsy, ma se li preparava. Telai fatti con le sedie, presse con i ferri da stiro, colla con la farina, pieghetta d’osso fatte con l’osso e non con il polietilene.

Si è vero il mondo deve andare avanti. Ma io posso aspettarvi anche qua indietro. Andate avanti voi. Io sto qui. Torno a quei pomeriggi di prove, misure, colle e idee.

“Quando incassi il libro fai così. No no non guardare che sposti il volume, chiudi gli occhi, con i polpastrelli senti che la misura sia uguale dappertutto. Non ti serve la vista, non diventare dipendente da un senso soltanto. Ne hai cinque”.

Come puoi non amare tutta la vita questi esseri umani qui. Chi ti dona il suo sapere solo per amore, senza ego, senza remore, senza volere niente in cambio.

“No no, niente righello, che vuoi passare la vita a dipendere da una stecca di metallo? A occhio mimma.” E da allora il metro più preciso sono i miei occhi, non sbaglio un colpo, vedo millimetri come fossero centimetri, percepisco le proporzioni, le sento come un fastidio se sono sbagliate, come il sassolino che ti entra nel sandalo quando cammini sul ghiaino.

Quando osservo alcuni lavori di legatoria sui social mi vengono i brividi. Non sono migliore o peggiore di nessuno, ma la scuola la vedi sempre, la proporzione è una regola, si impara, si apprende, come la grandezza dell’unghiatura in proporzione al volume. I centimetri da tenere quando fai la copertina spezzata (pelle e carta), gli angoli. Brividi. Ho i brividi. Come si arrabbiava quando vedeva questa roba qua! Ho ereditato anche questo.

“Mimma adesso sai tante cose, puoi iniziare a fare da te, le basi tu l’hai. Aspetta, passami quella scatolina li.” Le mani che razzolano veloce dentro alla scatola, gli occhiali sul naso, la stanza piena di ferri da stiro vecchi tenuti come soprammobili, affascinanti come una installazione di Duchamp.

“Ecco, tieni, hai imparato a montare il velluto, la tela bianca, la stoffa da soppannare. La pergamena finta. Tieni. Questo è capretto di prima qualità.”

Animalisti non agitatevi, nel lessico del legatore il capretto di prima qualità è la più grande dichiarazione di stima che un maestro fa alla sua allieva. E’ il materiale più prezioso che c’è. E io devo essere onesta, onestissima con me e con le mie paure. Io senza di lui non mi sono mai sentita in grado. E quella pergamena è sempre arrotolata nel cassetto dei materiali. Sta li come le carte preziose e un giorno forse mi sentirò all’altezza. Cucirò una carta cotone con il nostro telaio, decorerò le carte di guardia, preparerò il capitello con il filo di raso, studierò le proporzioni sulla coperta e monterò quella pergamena come mi hai insegnato tu. Venticinque anni fa, come se fosse oggi. Come farò senza di te, che anche l’ultima volta che ci siamo visti mi hai dato dei libri da cucire e mi hai rispiegato per la centesima volta come devo fare per brunire la pelle, quella chiara, quella che deve fare due passaggi di tintura. Seduto in poltrona, con il tuo deambulatore parcheggiato davanti, gli occhi spenti di chi ha infilato così tanti aghi da non vederci quasi più, Roberto, tuo fratello, sempre al tuo fianco che ti passava album ed esempi da farmi vedere, e tu che appena iniziavi a parlare di attrezzi e modi ti illuminavi. Gli occhi rimanevano deboli ma il sorriso si apriva sul tuo viso e io mi nutrivo di ogni attimo, di ogni tecnica raccontata come se fosse stata provata il giorno prima, da delle mani che non ne potevano più, che non potevano più farlo, ma un cuore che continuava a rilegare ogni giorno.

“Il libro è un mondo in proporzione. Vive di un suo equilibrio e puoi non rispettarlo se stai facendo arte, opere, libri d’artista. Altrimenti è semplicemente incapacità. Non ti far abbindolare mimma, la scuola la serve!”

E su questa frase buttata li mentre si leccava le dita per toccare il ferro rovente per testarne la temperatura prima di incidere la pelle, io son stata mesi a pensare, anni a rimuginare su quanta verità abbia portato quest’uomo nella mia vita senza mai volere niente in cambio.

Qualcosa ha avuto, anche se non lo ha mai chiesto.

Ha avuto tutto il mio amore, di tutta la mia famiglia, nei pranzi a casa mia, quando la nonna gli preparava sugo e arrosto e mio babbo portava i vini più buoni da aprire con lui. Che amava la cucina, che nei pomeriggi di cucitura a casa sua mi raccontava sempre dei pranzi con le sorelle, le storie di famiglia, della sua ‘nipotina’ che immaginavo sempre come una bambina piccola dalla dolcezza con cui ne parlava ma che aveva più e meno la mia età. Gli occhi che gli si illuminavano quando raccontava e lasciavano intravedere quel cuore grande che batteva per le cose importanti, sempre.

Ha avuto la mia stima, perchè un uomo così integro può solo insegnare la vita come ha fatto per anni al carcere minorile per pure amore dell”altro’, usando la legatoria come linguaggio per stare bene, come faccio io oggi nei miei corsi.

Ha avuto e avrà sempre la mia gratitudine, perchè mi ha donato un mestiere antico ma sopratutto ha segnato in maniera indelebile il mio sguardo sulla vita. Sono entrata nel mondo dei grandi (avevo 21 anni) dalla porta principale, imparando dalla persona migliore che c’è il lavoro, per me, più bello che c’è.

E lo porterò avanti tenendoti con me, ogni volta che l’ago entra, ogni volta che il respiro rallenta e il telaio perde tensione, quando mi sconcentro e le spalle vanno per conto suo. Quando devo creare, divertirmi con le pagine, immaginare, godere del mio lavoro.

Ti porterò sempre con me Maestro mio, grazie di tutto Romano. Grazie davvero di tutto.

Adesso insegna a rilegare agli angeli.

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